Markus Ophaelders
È nato a Poughkeepsie (N.Y./Stati Uniti) da genitori tedeschi. Ha svolto studi di filosofia, psicologia e germanistica a Berlino, Milano e Bologna e dal 2011, dopo aver insegnato Estetica all’Università degli Studi di Milano, insegna Estetica e Filosofia dell’arte e della musica all’Università degli Studi di Verona, dove dirige anche il Centro di Ricerca ORFEO – Suono Immagine Scrittura.
I suoi studi vertono principalmente su problemi di teoria estetica, filosofia della storia e della politica nonché filosofia della musica nella riflessione filosofica tedesca dell’Ottocento e Novecento. Una delle problematiche centrali riguarda la critica della cultura e i cambiamenti degli assetti strutturali e culturali della società nelle attuali condizioni di potere, masse, tecnica, alienazione e reificazione.
Ha pubblicato numerosi saggi dedicati al Romanticismo e all’Idealismo tedeschi nonché alla Scuola di Francoforte e a problemi specifici della letteratura e della musica moderna e contemporanea.
Dialogo con Markus Ophaelders
Silvia Giliberto, pianoforte, Matteo Savio, percussioni.
I testi poetici sono letti da Silvia D’Anastasio
Prima esecuzione assoluta di ‘anemos’ di Raffaele Marsicano.
Musiche di:
Georges Aperghis, (1945) da “Quatre pieces fébriles” n° 1
e 3 [marimba/piano]
Johann Sebastian Bach, (1685-1750) dall’ “Arte della fuga” [marimba/piano]:
-Contrapunctus I
-Contrapunctus XII Canon alla ottava
-Contrapunctus XIII Canon alla duodecima in contrappunto alla quinta
-Contrapunctus XIV Canon alla decima
-Contrapunctus XV Canon per augmentationem in contrario motu
Iannis Xenakis, (1922-2001) “Rebonds b” [percussione sola]
Iannis Xenakis, “Six chansons” [piano solo]
Giannis Papakrasas, “Duo for piano and percussion”
Markus Ophaelders, filosofo e saggista, focalizzerà le sue riflessioni sull’ambivalenza culturale dell’incontro tra pianoforte e marimba, espressione musicale del fatto che cultura significa sempre incontro tra il proprio e l’estraneo. Il senso d’appartenenza, l’identità è possibile solo se si è disposti a rinunciare, a perdere.
Guardare al futuro, dunque, significa guardare all’altro senza però dimenticare il passato, il proprio e quello degli altri. La trascrizione dell’arte della fuga di Bach invita all’esplorazione di registri identitari mutevoli capaci di includere l’alterità e di riconoscere il sé nell’altro che, in questo caso si presume, fu mio.