Silvia Giliberto

Inizia lo studio del pianoforte presso la Civica Scuola di Musica A. Pozzi di Corsico con Lorena Portalupi. Prosegue gli studi musicali superiori presso il Conservatorio G. Verdi di Milano con Ettore Borri, conseguendo nel 2020 il Diploma Accademico di Primo Livello di Pianoforte con 110 e lode. Attualmente frequenta il Biennio di Musica da Camera con Emanuela Piemonti.

Dal 2014 frequenta corsi di Alto Perfezionamento Pianistico con Marian Mika.

Partecipa a masterclass con maestri di fama internazionale quali Maria Grazia Bellocchio e Jean-Marc Luisada.
Tra le esibizioni in concerti: tutte le edizioni di Piano City Milano, il 27° Festival di Milano Musica e il FIP Guadalquivir di Cordova. Nel 2020 vince il Primo Premio Assoluto nella V edizione del Concorso “Città murata” e, nello stesso anno, ottiene il Premio “Folco Perrino” nella VI edizione del Premio Internazionale Giuseppe Martucci.


giovedì 23 settembre 2021

Dialogo con Markus Ophaelders

Silvia Giliberto, pianoforte, Matteo Savio, percussioni.

I testi poetici sono letti da Silvia D’Anastasio

Prima esecuzione assoluta di ‘anemos’ di Raffaele Marsicano.

Musiche di:
Georges Aperghis, (1945) da “Quatre pieces fébriles” n° 1
e 3 [marimba/piano]

Johann Sebastian Bach, (1685-1750) dall’ “Arte della fuga” [marimba/piano]:
-Contrapunctus I
-Contrapunctus XII Canon alla ottava
-Contrapunctus XIII Canon alla duodecima in contrappunto alla quinta
-Contrapunctus XIV Canon alla decima
-Contrapunctus XV Canon per augmentationem in contrario motu
Iannis Xenakis, (1922-2001) “Rebonds b” [percussione sola]

Iannis Xenakis, “Six chansons” [piano solo]
Giannis Papakrasas, “Duo for piano and percussion”

Markus Ophaelders, filosofo e saggista, focalizzerà le sue riflessioni sull’ambivalenza culturale dell’incontro tra pianoforte e marimba, espressione musicale del fatto che cultura significa sempre incontro tra il proprio e l’estraneo. Il senso d’appartenenza, l’identità è possibile solo se si è disposti a rinunciare, a perdere.
Guardare al futuro, dunque, significa guardare all’altro senza però dimenticare il passato, il proprio e quello degli altri. La trascrizione dell’arte della fuga di Bach invita all’esplorazione di registri identitari mutevoli capaci di includere l’alterità e di riconoscere il sé nell’altro che, in questo caso si presume, fu mio.